LA FATICA DEGLI OPERATORI SANITARI. L’IMPORTANZA DEL LORO BENESSERE
- S. Gorrino A. Diroccia
- 1 apr 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Nell’attuale situazione epidemica è normale che gli operatori sanitari si trovino travolti da una prolungata esposizione a situazioni di alta tensione e di elevato livello di stress.
Gli operatori sanitari fanno i conti con turni di lavoro allungati nel tempo, per eccesso di pazienti (impegnativi) e carenza di personale. Turni che affrontano dovendo mettere in essere precisi protocolli di sicurezza e dovendo serrarsi in attrezzature da lavoro scomode, che implicano faticose procedure di vestizione e svestizione per ovvi motivi di protezione.
Contemporaneamente agli aspetti tecnici, affrontano varie fonti di sovraccarico emotivo.
Ondate di emozioni che riguardano il contatto con la paura e la solitudine dei pazienti e dei loro familiari. La paura per la prognosi e per i familiari, ammalati o possibili contagiati. La solitudine perché in ospedale si entra da soli e si rimane soli, potendo appoggiarsi solo al personale. Inoltre tutto questo avviene “a distanza”. Una distanza disegnata dal pericolo del contagio e dai dispositivi di sicurezza che si rendono necessari e che però rendono difficile e poco spontaneo anche il più elementare gesto di conforto. Anche la comunicazione con i familiari è a distanza: quella sul decorso della malattia e quella dolorosa sul decesso. Decessi che per numero superano la quota fisiologica che è possibile tollerare.
Ondate di emozioni che riguardano le preoccupazioni per la propria incolumità e per la propria famiglia. Si immaginano le stesse sofferenze su di sé, soprattutto quando sono colpiti anche i propri colleghi, e si amplifica la paura di contagiare i propri cari nonostante tutta l’attenzione.
Ondate di emozioni che riguardano la fatica di tenersi saldi fino a fine turno e di farcela nonostante tutto, anche scovando dentro di sé l’energia per una battuta o un sorriso.
Ondate di emozioni che riguardano le risposte della società, che si distinguono in comportamenti di stigmatizzazione: operatori possibili portatori di contagio (comportamenti per la verità minoritari). E in comportamenti che sottendono grandi aspettative: “gli eroi”, “i nostri angeli”. A fronte di un pregresso disinvestimento sulla sanità con conseguente riduzione ad un lavoro routinario e scarsa considerazione nell’immaginario della popolazione. Dalle stalle alle stelle, un saliscendi che da un punto di vista emotivo può impattare positivamente sulla “stima di sé”, o negativamente dando adito a “sentimenti di rabbia”.

Nave nel mare in tempesta - dipinto di Ivan Konstantinovič Ajvazovskij (1858)
È vero che in situazioni di stress succede che le persone possano dare il meglio di sé. Ma questo rimane vero a condizione che lo stress faccia sporadiche comparse confinato in tempi e spazi limitati.
Se lo stress è perdurante, il rischio è quello di uno squilibrio in cui la naturale capacità di adattamento viene a mancare. Come se ci sentisse avvolti in un vortice di angoscia o di ansia che può sfociare nell’impossibilità “a staccare”, nella sensazione di essere inefficaci, in un generico senso di infelicità. Sensazioni che invadono ogni angolo della propria vita.
Si rompono gli argini difensivi che, in condizione di normalità, proteggono l’operatore dall’ansia di morte e d’impotenza.
Anche in una situazione così incalzante e drammatica c’è una regola imprescindibile: “prendersi cura di sé”, come a darsi un tenero abbraccio. Questo contatto affettivo si concretizza ricordando a sé stessi che il proprio lavoro ha dei limiti e che si è fatto del proprio meglio; focalizzando l’attenzione su pensieri positivi, su ciò che è andato bene durante il turno, fosse anche un sorriso; ritagliando, prima di rientrare a casa per occuparsi della propria quotidianità, alcuni minuti per sé (ascoltare la canzone preferita, vedere un video divertente -il cellulare aiuta-, pensare ad un momento sereno….).
Tenersi tutto dentro non è utile, occorre parlare di ciò che è accaduto e di ciò che si prova con persone in grado di sostenere il peso. Aiuta a vedere che le emozioni e le paure sono comuni.
Altrettanto importante è non dimenticare che ci sarà un poi in cui tutto si avvierà alla normalità. Questo passaggio alla normalità potrà essere semplice oppure potrà portare a riflessioni personali o ancora potrà vedere il perdurare di una condizione di disagio. Questa condizione di malessere si potrebbe esprimere con manifestazioni di tipo fisico, come mal di testa, stanchezza, dolori muscolari e di tipo psicologico, come ansia, depressione, senso di impotenza, insoddisfazione, sentimenti di non essere capiti o ostacolati, difficoltà di concentrazione e di attenzione, isolamento dai colleghi, sentirsi irritabili, sempre arrabbiati, fumare o mangiare di più. Un’escalation che potrebbe portare a comportamenti gravi come il ricorso alle droghe o all’alcol o al suicidio.
Nello specifico delle professioni sanitarie un pericolo da non sottovalutare è l’identificazione con la sofferenza dei pazienti. Esserne consapevoli significa riuscire a mantenere la giusta distanza per restare professionali e tutelare la propria esistenza.
Come psicologhe ci sentiamo di raccomandare di chiedere aiuto e di non cadere nella trappola di non farlo per paura di essere giudicati deboli. Ciò al fine di preservare il proprio benessere e il proprio lavoro.
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