CORONAVIRUS - I “RITI” DEL LUTTO SONO SOLO POSTICIPATI
- S. Gorrino A. Diroccia
- 27 mar 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Questo momento storico ci trascina tutti in un sentimento di perdita e di mancanza della nostra quotidianità e ci pone di fronte alla morte come forse non è mai accaduto dalla seconda guerra mondiale, neppure nelle grandi calamità, per quanto anch’esse tragiche.
La morte è sempre un’imbucata nella nostra vita. Arriva sempre troppo presto e ci coglie impreparati, lasciandoci la sensazione amara del rimpianto: “se avessi avuto altro tempo, avrei potuto dire o fare…”.
In questi giorni il lutto si accanisce con un ulteriore dolore perché la mancanza (si dice: “è mancato all’affetto dei suoi cari”) si raddoppia: quella che sentiamo per chi se n’è andato; quella della nostra presenza nel momento del saluto estremo. Intendiamo con l’ultimo saluto anche il rito della sepoltura, un aspetto con un ruolo preciso nell’elaborazione del lutto nella nostra società. Questa mancanza viene resa evidente dal racconto, spesso commosso, degli operatori sanitari. I parenti non possono essere ammessi negli ospedali per ovvie ragioni di sicurezza o, spesso, sono in quarantena o ammalati a loro volta.

Malinconia - dipinto di Edvard Munch (1894-96)
Ci sarà un tempo in cui oltre alla gioia di pensare “abbiamo sconfitto il virus”, sarà doveroso un riconoscimento ufficiale esplicito del dolore e della perdita da parte comunità intera.
Contemporaneamente occorrerà trovare uno spazio individuale al proprio dolore e dare seguito ad un ”atto rituale”, ognuno secondo la propria sensibilità umana, religiosa, laica. Cosa vogliamo dire? Significa riprendere in mano le redini dei nostri ricordi e trovare una conclusione rituale a livello simbolico che ci permetta di salutare in maniera catartica la persona cara, di concludere un certo tipo di cammino. Questo di solito è realizzato con un funerale o un accompagnamento al cimitero, ma nulla vieta di ritualizzare il saluto con una riunione di amici, un memoriale, una donazione o tutto quanto sia inerente alla personalità e alla credenza individuale.
Questo ci permetterà di ricominciare il progressivo e continuo andare avanti nella progettualità della nostra vita, con più serenità possibile.
I riti sono strutture di tipo “simbolico-relazionali”, diverse a seconda delle società e delle credenze religiose, ma con la stessa funzione, quella di contribuire alla costruzione della ossatura del pensiero riflessivo e dell’identità personale. Tutto ciò ci può permettere di procedere nella nostra vita, di fare progetti con la fiducia di realizzarli.
La mancanza della ritualità rischia di ostacolare o quantomeno adulterare l’elaborazione del lutto. L’elaborazione del lutto è un processo di separazione che consente di trasformare in ricordo la relazione di affetto e quindi di superare il senso di vuoto. Si forma un ricordo che ha la forza del conforto nei momenti di difficoltà e della dolcezza nei momenti di gioia. L’impossibilità a procedere in questa elaborazione rischia di inchiodarci nel desiderio di riempire il vuoto, che prende il posto della persona che se n’è andata. Rincorrere questo desiderio fa perdere la possibilità del ricordo. Rimane la tristezza profonda, che, in una tale immobilità, può volgere in depressione. Nella depressione lo sguardo è rivolto al passato, a quello che avrebbe dovuto essere e non è stato.
Riflettere su ciò è un primo passo verso quello che abbiamo descritto “come il progressivo e continuo andare avanti nella progettualità della nostra vita, con più serenità possibile”. Nella consapevolezza di quanto potrà essere difficile e doloroso.
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